lunedì 30 novembre 1970

Le molle dell'autoerotismo



di Michele Zaninotto


articolo estratto da "Le Ore"
del Novembre 1970


Una volta era una perversione. Oggi è una sofisticazione.
Ma oggi, come ieri, è ancora un fatto di insoddisfazione.
In apparenza le cose sono cambiate. Un tempo l’autoerotismo femminile era un momento segreto, concepito e portato a termine nel buio, nel segreto della stanza, in quell’attimo di abbandono che sta fra la veglia e il sonno, in quel momento di rilassamento in cui i desideri salgono irrefrenabili alla superficie, e il corpo si tende, i capelli diventano elettrici e sprizzano brevi scintille nel buio e gli umori fluiscono e si spandono e le fantasie si scatenano. Ma erano, anche, momenti di vergogna, momenti di abbandono di certi freni inibitori, momenti che spaccano la coscienza a metà, fra il desiderio di dimenticare e quello invece di ricordare e di rievocare la scintilla del piacere. Adesso la vergogna non c’è più. Anche l’autoerotismo è diventato un fatto di consumo. Sono stati inventati i vibromassaggiatori, sono stati messi alla portata di tutti stimoli di ogni specie e natura, gli oggetti dell’autoerotismo sono diventati un fatto di cui tutti parlano, su cui si esprime e si scatena la fantasia dei disegnatori industriali, per renderli più belli, attraenti, colorati. Ovviamente, una volta avviati su questa strada, è difficile fermarsi. Ed ecco l’ultima novità in assoluto.
La poltrona distensiva. Una gigantesca poltrona, con molle tenere e sensibilissime, che ha la forma di una gigantesca mano d’uomo a quattro dita. Una poltrona che ha una vita propria, indipendente, sensibile, una poltrona che risponde alle sollecitazioni del corpo che vi si adagia con una preoccup
azione quasi materna, avvolgendo, blandendo, carezzando e, nello stesso tempo, stimolando ai pensieri, ai ricordi, ai desideri erotici. Naturalmente, considerato il prezzo, ci troviamo ancora di fronte a un fenomeno che riguarda pochi eletti (anzi elette). Una moda snobistica, raffinata, il corrispettivo femminile di quelle lucenti fuoriserie, che rappresentano, per il maschio, il simbolo del successo raggiunto. E’ una poltrona da mostrare alle amiche, come un collier di diamanti o un vestito firmato da un sarto famoso. Ma è anche, nello stesso tempo, la poltrona delle lunghe giornate noiose, degli interminabili pomeriggi in cui il tempo sembra essersi fermato, e il corpo si ribella alla monotonia, i muscoli si contraggono, quasi a voler esprimere in quel modo la loro rabbia personale, e le mucose si inaridiscono, respingono ogni contatto. Allora quelle grosse, tozze, in apparenza inabili dita, diventano una sorta di toccasana, creano quel calore, quel tepore che rilassa, ammorbidisce, conforta. Le molle premono sulla pelle, con un’azione diretta, mentre la chiara simbologia della forma provvede a riscaldare la fantasia assopita, a rimettere in moto quel processo insostituibile e indispensabile che è il sogno ad occhi aperti. Di qui all’autoerotismo il passo è breve, anche se non del tutto indispensabile. Non sempre si compie, qualche volta si resta ai confini, cullandosi in quella vaga, mai scaricata eccitazione mentale, che rappresenta una sorta di meccanico sostituto del preludio amoroso.
Così, a poco a poco, la poltrona, diventa una presenza reale nella casa, un oggetto familiare, ma qualcosa di più di un oggetto, la concretizzazione delle speranze deluse, dei desideri inappagati, delle attese inutili. Diventa un amico fedele, un amante instancabile. Qualcuno potrebbe affermare che si tratta soltanto di un piccolo fatto squallido. Ma con quale diritto? Le vie del destino sono infinite. Può anche darsi che la strada dell’autosufficienza e dell’indipendenza femminile passino attraverso quattro molleggiate, rozze dita.

TRATTO DA http://www.poltronova.com/index.php?joe-articolo-le-ore-1971