domenica 17 aprile 2011

Infibulazione

A cura di Lucia D'Addezio


In Italia è punita per legge ma praticata. 70.000 mila le donne in Italia originarie di Paesi che praticano l’infibulazione. 6.000 bambine tra i 4 e i 12 anni a rischio.


L’infibulazione è una vera e propria sevizia, ripudiata da tutte le società progredite. Eppure anche in Italia il rischio per bambine e donne è serio e più vivo che mai. Secondo l'Istat sono circa 70.000 le donne giunte in Italia e provenienti da Paesi esteri a tradizione escissoria. Ogni anno in Italia seimila bambine di varia origine, tra i 4 e i 12 anni, rischiano di essere sottoposte a questa pratica dolorosissima, pericolosa per la salute fisica e psichica e priva di qualsiasi utilità.
L’infibulazione, o meglio i vari tipi di infibulazione esistenti, hanno una base prettamente tradizionale e culturale. Nel nostro Paese, grazie ad una legge (Legge 9 gennaio 2006, n. 7; "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile"), l’infibulazione è vietata e severamente punita. Le sanzioni non riguardano soltanto coloro che la praticano ma anche i genitori o i parenti che, pur di far infibulare una bambina membro della famiglia, rispettando così questa barbara tradizione, la portano all’estero.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha distinto quattro tipi differenti di mutilazione a carico dei genitali femminili.
La Circoncisione (o infibulazione ‘as sunnah’) è l’incisione della punta del clitoride con fuoriuscita simbolica di sette gocce di sangue.
L’Escissione ‘al uasat’ é l’asportazione del clitoride con aggiunta del taglio, totale o parziale, delle piccole labbra.
L’Infibulazione (o circoncisione sudanese) consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra. A questa già di per sé orrenda mutilazione va aggiunta la cucitura della vulva (viene lasciato libero solo un foro per la fuoriuscita di urina e sangue mestruale).
Il quarto tipo comprende gli altri tipi di pratiche oggi esistenti. (Fonte: Wikipedia)
L’infibulazione nelle sue diverse varianti, viene tradizionalmente imposta alle bambine in diversi Paesi dell’Africa, del Sud-est Asiatico e della Penisola Araba. Marian Ismail, dell’Associazione Donne in Rete per lo sviluppo e la Pace, è una donna di origini somale che da vent'anni combatte la sua guerra contro questa ‘tortura’. “In Somalia il 90% delle bambine è sottoposto all'infibulazione - racconta la Ismail - è un'aberrazione. Esistono delle campagne di dissuasione, di contrasto in molti paesi africani. Ma la pratica è radicata. Poi c'è il problema che è diffusa a macchia di leopardo. Per cui capita che si fa in un villaggio e in quello vicino no. E la situazione cambia da etnia a etnia”. E continua: “é totalmente falsa l'etichetta religiosa. È solo cultura tribale. Per le donne trapiantate in Italia c'è poi il problema identitario. Un modo per legarsi al Paese d'origine”.
Il caso italiano è preoccupante. L’Istat parla di 67.988 donne arrivate in Italia da Paesi a tradizione escissoria come Egitto, Ghana, Costa D’Avorio, Eritrea, Burkina Faso, Etiopia, Camerun, Somalia, Guinea, Sudan, Kenya, Sierra Leone, Niger, Mali, Repubblica Centrafricana. Di queste, quasi 40.000 sono già state sottoposte ad infibulazione. Le restanti sono tutte a rischio. Solo a Roma le donne in pericolo sono 8.500. “Ma i numeri sono di gran lunga più alti – avverte la Dottoressa Giovanna Scassellati, una ginecologa che lavora con donne infibulate - Il problema non è affatto da sottovalutare. Per adesso Roma e Firenze hanno dei centri che si occupano, prima di tutto, di informare queste donne e di aiutarle a decidere come vivere soprattutto la gravidanza. Quello che dico è che ce ne dovrebbero essere molti di più, come minimo in ogni regione italiana, come avviene negli altri Paesi”.
TRATTO DA http://www.girlpower.it/mondo/intornoanoi/infibulazione_italia_rischio.php

L'infibulazione: una pratica ancora usata !



In molti paesi la donna è considerata una creatura inferiore all’uomo, poco importa alla società che nel vicino occidente l’emancipazione femminile ha raggiunto livelli che hanno permesso alla donna di considerarsi alla pari con l’uomo.. Tra le pratiche di schiavizzazione e sottomissione della donna, una delle più terrificanti, ma purtroppo ancora esistente al mondo, è quella dell’infibulazione. Questo rito barbarico nega il principio stesso che è alla base dell’essere donna. La femminilità e la procreazione. I paesi a maggior numero di donne che hanno subito mutilazioni genitali sono la Somalia e il Sudan del Nord con una percentuale del 98% seguiti con una percentuale del 90% dalla Sierra Leone e dal Gibuti e con una percentuale del 60% dal Gambia e dalla Liberia.

L’aspetto più raccapricciante di questa pratica è accorgersi di come col tempo si sia radicata a tal punto da diventare non solo una violenza fisica ma psicologica, in quanto considerata dalle stesse donne necessaria per vivere ed essere accettate in società.Tante bambine in Africa vedendo le loro sorelle maggiori già sposate e già diventate donne senza la loro parte di “peccato” decidono in preda alla disperazione per la loro diversità di operarsi da sole. Molte odiano quella loro parte così tabù tanto da reciderla da sole con mezzi di fortuna.. Il termine infibulazione deriva dal latino “fibula”,una spilla utilizzata per agganciare la toga romana. La fibula era usata per prevenire i rapporti sessuali tra gli schiavi, fissata tra le grandi labbra delle donne e il prepuzio degli uomini. In questo modo era assicurata la fedeltà delle schiave ai loro padroni. L’infibulazione è la pratica più atroce di mutilazione genitale, comporta l’asportazione del clitoride, delle piccole labbra e delle grandi labbra. La “Cerimonia” è fatta da sole donne e il taglio dei genitali è compiuto da una donna anziana, di solito unica nel villaggio, spesso una levatrice o un’esperta del mondo dell’occulto. Di solito queste “esperte” chiedono per le loro mutilazioni molti soldi, e le famiglie povere sono costrette a indebitarsi, perché per loro avere una figlia con i genitali integri è una condanna all’esilio dalla società. La bambina è tenuta con le gambe divaricate e immobile da altre donne tra cui la stessa madre. Il taglio è fatto senza nessuna precauzione anestetica o disinfettante,l’incisione è compiuta con una lama di un coltello, un paio di forbici, un pezzo di vetro affilato, o una scheggia di metallo. Le gravi ferite sono suturate a seconda della tradizione con fili di seta o spine di acacia. Per cicatrizzare le ferite si usano delle sostanze naturali come il tuorlo d’uovo, succo di limone, miscugli di erbe o delle ceneri che provocano delle infezioni anche mortali.Finita l’incisione e la cucitura i genitali appaiono come quelli delle bambole di plastica. Inesistenti. Le gambe vengono legate e immobilizzate per alcune settimane per permettere alla ferita di guarire. La cosa più atroce per le “neo donne” è fare pipì. Il bruciore dell’urina sulla ferita è terrificante. Se la povera creatura sopravvive alle infezioni e al dissanguamento è considerata “sessualmente pura”. In questo modo la ragazzina non avrà desiderio sessuale e sarà scucita soltanto una volta sposata e il dolore invece del piacere della sua notte di nozze le ricorderà per l’ennesima volta che prezzo sta pagando per essere donna. Con la colonizzazione europea e l’arrivo della civiltà in alcuni paesi come l’Eritrea e l’Egitto la pratica dell’infibulazione è stata bandita e sono nati i primi movimenti per sostenere i diritti delle donne, ma in altri paesi questa tradizione è invece aumentata proprio perché i nativi hanno voluto imporre le loro leggi e i loro rituali per distinguersi dagli invasori stranieri facendo, di questa sanguinosa operazione, la loro bandiera nazionale. Con l’immigrazione molti si sono portati dietro questa tradizione. Infatti in Italia ci sono molte donne africane che vorrebbero continuare a praticarla pur vivendo in un paese dove è vietata.

In Africa gli stessi uomini di potere stanno attuando delle campagne anti-infibulazione dichiarando che loro non hanno permesso che le loro figlie venissero sottoposte a tale rito barbarico, sperando fare esempio al popolo e di eliminare piano piano questa terribile tradizione sanguinaria.

La strada per la liberazione da questa pratica è ancora lunga soprattutto perché le stesse ragazze decidono di loro spontanea volontà di essere sottoposte alla mutilazione.

La campagna di informazione comunque non è mai troppa e ci auguriamo che quelle percentuali così crudelmente alte si abbassino a favore di una donna libera di essere donna.

TRATTO DA http://www.torremaura.it/ormedidonna/infibulazione.htm

La masturbazione femminile

L'autoerotismo femminile, l'atto di procurarsi piacere da sole è una pratica diffusissima di cui però si parla meno che del corrispettivo comportamento maschile. Le radici di questo "parlarne di meno" possono essere rintracciate nel modo in cui è costituita la nostra società. Non si tratta di repressione religiosa, di anatomia femminile diversa da quella maschile o di un tabù, si tratta piuttosto (usando una parola non adeguata) di "maschilismo" della storia.
Se si escludono gli ultimi 50 anni, infatti, la storia è di proprietà degli uomini con le loro teorie sul mondo e anche sulla sessualità, sulle arti amatorie, sul diritto familiare, sulla procreazione e sulla morale religiosa.
Quando ci si comincia a masturbare
Alcune bambine iniziano a masturbarsi fin da piccole ma ovviamente non danno al gesto il significato che danno gli adulti (il significato diventerà maturo con l'adolescenza). É possibile che queste scoprano il piacere delle zone intime prestissimo, intorno ai 6 anni, e in alcuni casi può avvenire anche prima. Ciò non deve stupire poichè si tratta di normali scoperte del proprio corpo. La bambina potrebbe anche cercare nuovamente e ripetutamente la stimolazione.
L'iniziale mancanza di pudore può far sì che la bambina si tocchi o si strofini in pubblico o anche in compagnia di amichetti, amichette, fratellini e sorelline. Ciò provoca imbarazzo solo tra gli adulti che assistono alla scena. La cosa non deve spaventare o allarmare poichè i bambini sono per natura degli abili scopritori delle regole della società e impiegheranno poco tempo ad imparare cosa è lecito e cosa è illecito. Basterà insegnare loro il normale senso del pudore, non diversamente da quello che si fa quando si insegna a non fare la pipì dappertutto.
La masturbazione cambia significato con la pubertà e con l'adolescenza (a partire dai 13 anni circa) quando la ragazza comincia a condividere le conversazioni sul sesso con le sue amiche e i suoi amici, durante le lezioni con gli insegnanti e a casa con i genitori e quando vive le prime mestruazioni.
Per molte ragazze la scoperta della masturbazione arriva più tardi negli anni. Non è così scontato infatti che la ragazza scopra il piacere delle sue zone intime essendo queste in gran parte interne al corpo. Ciò può essere dovuto anche all'educazione ricevuta che invita a non toccare le proprie parti intime.
Per altre donne ancora l'autoerotismo rimane sconosciuto o sostanzialmente non praticato.

Le caratteristiche della masturbazione
L'autoerotismo femminile viene riferito comunemente con il termine "ditalino", il che sta a sottolineare la componente principale della pratica masturbatoria femminile: la scoperta del piacere attraverso l'uso delle dita.
Questo è il modo più semplice e più comune per raggiungere specialmente le zone erogene esterne: si accarezza il monte di Venere, si massaggiano le grandi labbra, si entra a penetrare l'apertura della vagina e ci si sofferma specialmente sul clitoride, il "bottone" più erogeno di tutto il corpo. Se vuoi conoscere meglio il corpo femminile guarda le pagine di questo sito.
Per molte ragazze e donne la masturbazione si esaurisce in una rapida stimolazione del clitoride il che porta ad una rapida eccitazione e al raggiungimento dell'orgasmo. Per altre, la stimolazione diretta del clitoride è piuttosto fastidiosa, specie se non è lubrificato a sufficienza. Cosicchè spesso si preferisce massaggiarsi da sopra gli slip oppure strofinarsi contro un cuscino o il materasso.
Ci si masturba soprattutto stimolando le zone erogene esterne e viaggiando con la fantasia ma anche con l'ausilio di oggetti, pennarelli, zucchine, dildo per simulare la penetrazione.
Molte donne affermano di riuscire a raggiungere l'orgasmo soltanto attraverso la masturbazione il che fa capire l'importanza di questa pratica e fa comprendere anche quanto possa essere importante condividere le proprie esperienze di autoerotismo raccontandole al proprio compagno. Spesso infatti la masturbazione è un ottimo veicolo per imparare a conoscere la risposta sessuale del proprio corpo.
La masturbazione è anche un veicolo, a volte il solo, che permette alla donna di trovare l'eccitazione e il rilassamento giusti che le permettono di sperimentare l'eiaculazione femminile o squirting.
Quante volte si masturbano le ragazze?
La frequenza della masturbazione da parte delle ragazze raggiunge il picco durante la pubertà, l'adolescenza o poco più tardi, ovvero nel periodo in cui si fa la scoperta dell'autoerotismo: le ragazze si masturbano in media almeno una volta al giorno. Con il passare degli anni la pratica tende a diminuire ma non scompare.
Tra le donne esiste la tendenza a dichiarare la pratica dell'autoerotismo meno di quanto facciano gli uomini cosicchè alcune indagini fanno apparire la donna meno alle prese con la masturbazione.
Ma l'atteggiamento di negare le proprie masturbazioni sta mutando verso una nuova tendenza a dichiarare la verità, tendenza assolutamente già consolidata nel mondo di internet.
L'autoerotismo accompagna le donne lungo tutta la vita a partire dal momento della scoperta del piacere intimo. Una donna su tre dichiara di essersi masturbata anche dopo i 60 anni.

TRATTO DA http://www.comodo.it/canali/sessualita/femminile/masturbazione-femminile/la-masturbazione-femminile-ovvero-i-cosiddetti-ditalini/

Gli animali e il sesso fai-da-te


L’autoerotismo e’ sempre stato un argomento tabu’ nella nostra societa’, grazie all’indubbio contributo delle religioni monoteiste, e laddove proprio se ne parlava veniva descritto sino a pochi decenni fa come un’abitudine deplorevole praticata da menti malate o inferiori, o che portava a gravi conseguenze per la salute. Non solo si diventerebbe ciechi secondo i preti, ma secondo Burdach, un fisiologo del XIX secolo, la pratica porterebbe a problemi di erezione e all’infecondita’. Una malattia da curare o da compatire, insomma. Se la masturbazione maschile e’ una debolezza mentale, quella femminile e’ un mistero assoluto perche’ se ne parla molto poco tutt’ora. In un quadro del genere, e’ normale che si trovi inconcepibile pensare che la masturbazione sia una pratica comune anche tra gli altri mammiferi: l’autoerotismo diventerebbe automaticamente un anello di congiunzione tra l’uomo e gli altri animali e questo va oltre l’etica del peccato, scuote il piedistallo su cui ci siamo posti e ci riporta nella classe Mammalia in mezzo a tutti gli altri animali “non intelligenti”. Sembrerebbe invece che la masturbazione sia un carattere comune a tutti i mammiferi, praticamente tutti gli ordini di questa classe sono stati osservati in pratiche di autostimolazione degli organi genitali, e non e’ un carattere esclusivo degli animali piu’ intelligenti, come ho letto di recente su un blog: ancora oggi la masturbazione, seppure vile, deve poter essere un comportamento “umano” e non “bestiale”perche’ la cosa assocerebbe il senso di colpa alla perdita di autostima, il che diventa intollerabile.

Tutti i primati praticano atti di autoerotismo, sia le scimmie antropomorfe che quelle piu’ piccole, sia i maschi che le femmine, usando le mani, la bocca, i piedi prensili, le code prensili nel caso di scimmie del nuovo mondo o anche oggetti. Qui un filmato di 10 minuti che val piu’ di mille parole e rende perfettamente chiaro il concetto (mandate a letto i bambini e spiegate al partner che si tratta di interesse scientifico prima che vi accusi di zoofilia, il filmato e’ _molto_ esplicito). I bonobo in questo sono ovviamente maestri, visto che per loro il sesso e’ alla base di tutti i rapporti sociali ancora piu’ che per noi. Frans de Waal, nel suo libro “Chimpanzee politics: power and sex among apes”, descrive una femmina di scimpanze’ che oltre ad avere atteggiamenti chiaramente omosessuali si masturbava nel periodo inter-estro : “sebbene l’autogratificazione sia un noto e frequente fenomeno tra i primati in cattivita’, nel nostro gruppo Puist e’ l’unica con questa abitudine. Curiosamente lo fa solo quando non e’ nel suo “periodo rosa” [ovvero in ovulazione, NdT]. Compie rapidi movimenti con le dita nella vulva per circa un minuto. Non possiamo dire niente dalla sua faccia, ma deve avere effetti piacevoli, altrimenti perche’ mai dovrebbe farlo?”[traduzione mia].

Gli orang utan sono noti per usare bastoncini per masturbarsi (maschi e femmine) e la parte piu’ interessante di cio’ e’ che l’uso di questo dildo della jungla e’ tramandato per via culturale tramite l’esempio.

Per gli animali dotati di zampe anteriori piu’ o meno prensili il gesto e’ scontato e spesso, o almeno per quel che ne sappiamo, legato alla cattivita’ o a frustrazione sessuale per impossibilita’ (o anche non volonta’, come nel caso di Puist) di accoppiarsi. Gli orsi dello zoo sono stati spesso filmati in atti di autoerotismo (Qui un orso polare, qui un orso bruno che pratica auto-sesso orale). Esiste, per rispettare la regola 34 di internet, anche tutto un filone di filmati di You Tube che mostrano cani e gatti in atti di autoerotismo che usano, specialmente i gatti, sia le zampe sia oggetti. Mi e’ capitato in passato di conoscere una cagnetta con esattamente la stessa attitudine della scimpanze’ Puist: rifiutava categoricamente di accoppiarsi con i maschi, si mostrava dominante sulle femmine pur essendo la piu’ piccola del branco e si masturbava con una particolare coperta della sua cuccia. Non sono riuscita a sapere dai proprietari se questa abitudine veniva praticata nei periodi inter-estro come Puist o in quelli di estro ma penso che nelle cagne sia un comportamento relativamente raro, al contrario di quel che accade per i loro compagni delle cui esibizioni You Tube abbonda (con un po’ troppa malizia da parte dei primateschi proprietari, a dire il vero, meta’ dei filmati che ho visionato per scrivere questo post mostravano semplici atteggiamenti di pulizia o comunque nulla di legato al sesso).
 CONTINUA http://www.lorologiaiomiope.com/gli-animali-e-il-sesso-fai-da-te/

Io faccio da sola. Viva l’autoerotismo!

Ci sono cose che non bisognerebbe mai smettere di fare: tra queste, a mio parere, c’è l’autoerotismo.

Negli USA sono talmente consapevoli dell’importanza di questa pratica da celebrare la masturbazione per un mese intero: maggio è infatti il Masturbation Month, una ricorrenza con tanto di maratona (Masturbate-a-thon ) e albo dei record (ad esempio per la sessione più lunga), nata nel 1995 a San Francisco, capitale della libertà sessuale. Non solo: anche nel Regno Unito, in Olanda, Germania ci sono movimenti analoghi, come Masturbate for Peace che si avvale di slogan come “Vengo in pace” per combattere (pacificamente, s’intende) la guerra e la sofferenza nel mondo a partire dall’amore – carnale e non solo – per se stessi.

A questo punto, se qualcuna avesse ancora qualche remora nell’unirsi alle celebrazioni d’oltreoceano festeggiando la masturbazione con molti orgasmi, ecco alcuni validi motivi per darsi al fai-da-te e dedicare un po’ di tempo a praticare del sano autoerotismo o, come mi piace definirlo, auto-amore.

1. Fa bene all’umore e allenta lo stress: le endorfine liberate dall’orgasmo producono un naturale e trasognato sorriso sul nostro volto e allontanano la depressione.

2. Fa bene alle relazioni sociali: quando siamo rilassate è più facile andare d’accordo con gli altri.

3. Non hai bisogno di altro che di te stessa e sei tu a dettare il tempo. Per la serie: la situazione è nelle tue mani.

4. L’orgasmo è una certezza.

5. È un’attività praticamente priva di rischi per la salute (vedi possibilità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili).

6. È gratis.

7. Aiuta a creare ed esplorare nuove fantasie, comprese quelle tabù (quello che immagini nella tua mente lo sai solo tu) e inventare nuovi giochi e situazioni da realizzare con il partner.

8. Aiuta a esplorare e conoscere il proprio corpo, a sperimentare nuove sensazioni e a scoprire nuove zone erogene. In definitiva, ad ampliare gli orizzonti del piacere e delle sessualità.

9. Rende più consapevoli della propria identità e aumenta l’autostima. Dopo tutto si tratta sempre di una forma di espressione/affermazione personale!

10. Conoscere se stessi aiuta ad avere rapporti di coppia più sereni.

11. Non è per forza un piacere solitario e non sarò certo io a farvi scoprire che agli uomini piace guardare.

12. Come per il sesso a due, anche nell’autoerotismo non esistono solo una posizione o uno stile: ci sono talmente tanti modi per farlo che per scoprirli tutti ci vorrebbe una vita. Meglio darsi da fare.

13. È un’ottima occasione per provare l’ebrezza dei sex toys.

14. Tiene vivo il desiderio, affermando la tua dimensione erotica.

15. Puoi farlo tutte le volte che vuoi.

16. È ecologico .

17. È un gesto di amore e rispetto per sé stessi.

18. È un momento di intimità (e relax) che hai solo con te stessa.

19. Mai sentito parlare di masturbazione di coppia e/o reciproca? Si tratta di una lezione pratica molto soddisfacente in cui i partner imparano a vicenda a toccarsi (che termine antiquato) nel migliore dei modi, guardandosi e/o stimolandosi reciprocamente. Le mappe del piacere vostre e del partner non avranno più segreti e porteranno a piacevolissimi tesori.

20. Puoi farlo anche mentre sei al telefono con lui, dando vita a in una privatissima hot line.

21. Va d’accordo con le attività culturali. Mai provato a farlo leggendo un libro di narrativa erotica o sfogliando un fumetto dalle illustrazioni provocanti?

22. È il miglior rimedio contro l’insonnia e un buon auspicio per sogni piacevoli.



E visto che il Mansturbation Month dura 31 giorni, immagino che qualche valido motivo per masturbarsi mi sia sfuggito.

Promemoria per tutti: dovrebbe essere la festa dell’autoerotismo almeno una volta a settimana.

Tags: autoerotismo, coppia, eros, masturbazione, Orgasmo, piacere, Sesso, sessualità
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Questo piacere è tutto mio
(INSERISCI COME CORRELATO) Lunedì, Dicembre 1st, 2008
I primi a sdoganarlo sono stati i sessuologi: l’autoerotismo è un modo per conoscere bene il corpo, il primo passo per assicurarsi orgasmi da favola tra le braccia di lui. Poi sono arrivati film, canzoni e romanzi a togliere gli ultimi tabù. Ora, però, sorpresa! Un nuovo studio Usa ribalta ogni convinzione e avverte: le donne che si masturbano non sono soddisfatte delle loro relazioni sessuali. A considerare il piacere solitario più appagante di un incontro a due, secondo la ricerca dell’Arizona University, è addirittura il 40 per cento delle americane. E anche da noi, come conferma Marinella Cozzolino, presidente dell’Associazione italiana di sessuologia clinica di Roma, il fenomeno è diffuso. «Molte pazienti me lo raccontano: tornano a casa dopo una giornata faticosa e trovano nell’autoerotismo un modo per scaricare lo stress» spiega l’esperta. «Una valvola di sfogo che finisce per regalare più soddisfazioni di un rapporto sessuale. Succede quando nella coppia si è perso qualcosa e non c’è più quell’intimità e quell’intesa che permettono di coccolarsi l’un l’altro o di fare l’amore con leggerezza, senza che per finire a letto insieme si debba venire a patti». L’autoerotismo, per le donne che vivono un ménage routinario e faticoso, può diventare un surrogato più comodo e veloce, vissuto non come preparazione del corpo all’incontro, ma solo in funzione dell’orgasmo e del relax fisico e mentale che porta con sé. Il rischio, però, è che a lungo andare si perda la voglia, e anche l’abitudine, di cercare l’incontro con il partner e si finisca per mettere a rischio il rapporto. Per questo è necessario recuperare quella dimensione di abbracci e carezze persa nel tempo. Una “prescrizione” che può essere molto eccitante: «Basta fare l’amore con il compagno evitando per qualche tempo la penetrazione e coinvolgendo i sensi» consiglia Cozzolino. «Ascoltare parole sussurrate all’orecchio, sentire l’odore di un altro corpo, percepire mani diverse sulla propria pelle sono sensazioni piacevoli quanto un orgasmo». E, da sole, non si possono provare.

TRATTO DA http://blog.donnamoderna.com/ilsesso/archives/tag/autoerotismo

L’adolescente e il suo corpo: riflessioni psicologiche sull’autoerotismo

Gilberto Gobbi

Premessa

L’autoerotismo, o masturbazione, sembra trovarsi al centro della storia della maturazione psicosessuale della stragrande mag­gioranza degli individui, specialmente maschi. E’ una maturazione che inizia fin dalla primissima infanzia, quando il bambino comin­cia a esplorare le varie parti del proprio corpo.
L’autoerotismo ne è un comportamento esteriore, che, in quanto tale, rinvia ad un profondo significato, proprio dello psichismo, cioè alle pieghe più delicate e recondite dell’intrinseca connessione tra la dimensione fisico-corporea e quella psicologica.
Il comportamento autoerotico assume significato e come tale va analizzato, partendo da tale contesto, per poterne comprendere le sue evoluzioni normali, quelle a-normali oppure le involuzioni patologiche.
Sotto l’aspetto psicologico, oggi, l’autoerotismo viene conside­rato un fenomeno frequente e quasi costante nel processo evolutivo psicosessuale dell’individuo. Gli studi in tale settore sono molte­plici e offrono dei dati, statistici e psicodinamici, che presentano, appunto, la masturbazione come un fenomeno talmente rilevante, per la sua presenza e costanza, da far affermare la sua “normalità”. Cioè, il fenomeno è presente per il 90% e oltre nei giovani e tra il 60-70% nelle giovani e nelle donne.
A quanto pare, come in altre ricerche che riguardano l’ambito dei comportamenti sessuali, anche per l’autoerotismo in psicolo­gia il parametro stati­stico viene assunto come “criterio di normalità”.
Ritengo che non sia sufficiente indicare l’autoerotismo come una fase dello sviluppo psicosessuale né constatarne la frequenza statistica, per dedurne una valutazione di “normalità”.
La sua va­lutazione va impostata secondo criteri diversi, che situino il feno­meno all’interno del senso e del significato della sessualità umana e che, sotto l’aspetto dinamico, tengano conto del percorso matu­rativo delle singole persone, del loro stadio complessivo di svi­luppo, di cui l’ambito psicosessuale è parte integrante.
Atto, comportamento e struttura autoerotica
Il soggetto che pratica la masturbazione si trova in un determi­nato punto del suo sviluppo globale e psicosessuale; è collocato in un determinato ambito psicosociale; vive determinate situazioni ed ha una concezione circa il senso e il significato della sessualità e dell’autoerotismo.
Occorre, pertanto, avere una valutazione complessiva e com­plessa del soggetto e della sua collocazione nel contesto situazio­nale, in cui il fenomeno viene praticato.
Per una maggiore chiarezza e per una comprensione più reale, ritengo che vadano fatte delle distinzioni circa tre modalità dell’autoerotismo.
Atto autoerotico – E’ un singolo atto che porta al soddisfaci­mento sessuale masturbatorio. Accade come modalità o di ri­cerca di conoscenza del fenomeno o di sgravamento di ten­sione, e permane fine a se stesso. Il soggetto ha sperimentato, ha scaricato, e ciò gli basta. Per motivazioni, le più disparate, non sente l’esigenza di ripetere o ha la capacità di autocontrollo.
Comportamento autoerotico – Il comportamento indica che il soggetto tende a ripetersi, anche se non in modo continuativo, in atti masturbatori. Vi è una certa compulsività, che può es­sere accompagnata da attività sessuali diverse (sia etero sia omosessuali). Il comportamento indica che di fronte a situa­zioni ansiose, conflittuali, a forti impulsi genitali, al desiderio di soddisfazione, vi è la tendenza a scaricare compulsivamente, in modo sostitutivo in carenza del rapporto etero o omoses­suale. L’autogratificazione lo porta a chiudersi in se stesso e nelle proprie fantasie.
Struttura di personalità autoerotica. Con tale denominazione si intende quella personalità che è rimasta allo stadio narcisi­stico della maturazione, all’autocontemplazione, chiuso in se stesso, in una dimensione autoerotica ed autoaffettiva. Per tale personalità non si può parlare di oblatività, di donazione, di apertura all’altro, per cui anche quando esplica una relazione etero o omosessuale, il centro è sempre lei. L’altro è strumen­talizzato, funzionale alla ricerca della propria gratificazione genitale autoerotica.
Tale distinzione, che deriva dalle analisi delle situazioni, ci per­mette di capire meglio il fenomeno dell’autoerotismo, inqua­drandolo all’interno della personalità e del suo processo di matura­zione, dandone una valutazione psicologica conseguente. L’atto masturbatorio, di per sé, non va ad intaccare il processo di maturazione psicosessuale verso l’apertura all’altro, alla comu­nicazione e alla capacità di donazione. Sotto l’aspetto psicologico, atti masturbatori sporadici sono privi di connotazione morbosa o patologica. Andranno analizzati i vissuti e le circostanze che ten­dono a tali atti sporadici, affinché l’individuo ne conosca l’origine e metta in atto quella serie di accorgimenti che gli facilitino il su­peramento e l’evitare che diventino comportamento masturbatorio.
Vi sono, invece, persone che, pur avendo un’impostazione di apertura all’altro, vivono comportamenti “quasi obbligati” di tipo masturbatorio. La tensione pulsionale li spinge ad una coazione a ripetere.
Ciò permette di rendersi conto di come il problema dell’autoerotismo è complesso e che in determinate persone l’ambito della libertà di scelta del proprio comportamento sia note­volmente ridotto, sia dalla coazione a ripetere sia da una struttura di personalità autoerotica.
Non è compito della psicologia emettere una valutazione etica, ma di congruenza o incongruenza con il percorso di maturazione della persona.
Autoerotismo infantile
L’autoerotismo infantile segue i processi e le modalità propri dell’età descritti dalla psicoanalisi attraverso le varie fasi di appro­fondimento e di ulteriori conoscenze.
L’esplorazione e la conoscenza del proprio corpo, l’erotizzazione del proprio e dell’altrui corpo, il legame simbiotico con la madre, il distanziamento e defusione, l’acquisizione della propria immagine corporea e la differenziazione da quella degli altri, la percezione della propria identità di genere e l’avvio verso l’acquisizione dell’identità psicosessuale, sono tutti fattori che in­tervengono e interferiscono nel processo di maturazione psicoses­suale e quindi anche nelle dinamiche autoerotiche.
Il bambino at­traversa le varie fasi e vive l’incidenza dei vari fattori, come per­corre il tratto dall’egocentrismo all’allocentrismo, dalla chiusura narcisistica iniziale all’apertura verso l’altro, dall’erotizzazione delle relazioni al processo di derotizzazione, che è un fenomeno che dovrebbe accompagnarlo per tutta la vita, come uscita da sé e trascendenza verso l’altro, verso una dimensione di donazione.
Di fronte all’autoerotismo infantile spetta all’adulto non proiettare i suoi eventuali problemi irrisolti, con minacce e rimpro­veri che vanno a confonderlo e a suscitare curiosità, morbosità ed ansia.
Durante la prima e la seconda infanzia, l’autoerotismo per­durante può essere indice di problematiche che il bambino sta vi­vendo; l’atto diventa consolatorio di fronte a solitudine, carenze af­fettive, o anche indice di movimenti stereotipati, che possono es­sere indicatori di una sofferenza profonda, che, di norma, è accom­pagnata anche da altri aspetti del comportamento.
In questi casi di comportamenti masturbatori stereotipati è necessario consultare un esperto per una verifica e vedere se occorra intervenire con una te­rapia che sollevi il bambino dalla sofferenza, riavviando il pro­cesso psicoaffettivo che si era arrestato o che trovava difficoltà a procedere.
Autoerotismo adolescenziale
La pubertà è il periodo in cui si verificano più frequentemente atti masturbatori, che, con il tempo, possono trasformarsi in com­portamenti o anche fissare una personalità autoerotica.
L’attività autoerotica si verifica entro un quadro caratterizzato da importanti modificazioni biologiche, che incidono profonda­mente sulla globalità della persona e sulla strutturazione psicoses­suale. La disarmonia della prima fase puberale è dominata dall’eccitazione pulsionale, da abulie, apatie, eccitazioni, diminu­zione della soglia di sorveglianza, da euforia con particolare labi­lità neurovegetativa.
Il fenomeno dell’autoerotismo va inserito nell’ambito dell’insicurezza biologica e istintuale, che comporta l’assestamento del suo orientamento psicosessuale, per cui il ragazzo è impegnato su due fronti:
quello individuale, intrapsichico, sulla linea della convergenza o meno dell’identità di genere (l’avere un corpo maschile o fem­minile) con quella psicosessuale (il sentirsi uomo o il sentirsi donna);
quello fisico-corporeo, che lo spinge alla ricognizione della pro­pria virilità, come ricerca della propria individuazione e virilità somatica, che si coniuga con la tendenza alla manipolazione. Le ri­cerche di neurofisiologia confermano questa tendenza istintiva che l’adolescente ha di manipolare ciò che gli capita tra le mani. La prima cosa che egli ha tra le mani è il proprio corpo, con tutte le sue parti.
L’autoerotismo femminile è diverso da quello maschile.
Il corpo fisico e il corpo vissuto
E’ durante l’adolescenza, nelle sue varie fasi, che la persona vive e sperimenta il rapporto dialettico tra il suo corpo fisico, anatomico, il corpo oggetto, il “corpo-che-ha” e il corpo vissuto, il “corpo-che-egli-è”, il corpo vissuto sessualmente.
Si può affermare che l’adolescente vive in prima persona il di­lemma secolare della filosofia, anima-corpo, il dualismo, cioè, che è stato oggetto della speculazione della filosofia occidentale e che da sempre influenza la medicina e le scienze umane.

L’adolescente ripropone in sé la problematicità di tale riflessione e la vive con un’intensità che è propria di tale dicotomia. La sua lotta è orien­tata al superamento di essa, a fare unità tra psiche e soma: l’esito di tale travaglio può essere il più disparato: o l’unificazione della propria persona in un processo di maturazione o la conflittualità visibile o sotterranea, ma presente, con il proprio corpo che lo accom­pagnerà in futuro.
L’adolescente percepisce il proprio corpo organico, il Koerper, inteso come oggetto, un insieme di organi e di apparati anatomici che sente trasformarsi: ha un corpo, possiede un corpo.
Contemporaneamente vive la propria corporeità, sente di essere corpo, soggetto dell’Io, come presa di coscienza delle sensazioni. E’ il corpo-che è. E’ il corpo vissuto.
Il corpo organico e il corpo vissuto si confrontano a livello pro­fondo con l’immagine inconscia del corpo, cioè con il corpo im­maginato, che è la rappresentazione sintetica delle relazioni e rico­noscimento globale o parziale del corpo nel rapporto con se stesso, con gli altri e con la realtà.
E’ a livello profondo che deve avvenire la sintesi della dimensione fisica con quella psichica, l’unificazione della personalità. Avviene l’accettazione o la non accettazione del proprio corpo, il cui cambiamento accompagna tutta la vita, attra­verso le trasformazioni che il tempo impone internamente nella modifica dell’immagine di sé ed esternamente nei cambiamenti delle fattezze del corpo fisico.
Quando l’adolescente comincia a prendere coscienza di questa ambivalenza del proprio corpo (corpo vissuto e corpo oggetto) c’è la possibilità che si percepisca come corpo fonte di piacere, e quindi di oggettualizzare il corpo, come fonte di piacere a portata di mano.
Tale disgiunzione è visibile nel comportamento autoerotico e nella pratica della prostituzione, e in ogni forma di strumentalizza­zione del corpo come forme plastiche di oggettualizzazione del proprio e dell’altrui corpo.
Il sapere sul proprio corpo
Il sapere sul proprio corpo, sulle sue espressività e le sue capa­cità di entrare in relazione con la realtà in cui è inserito, facilita la conoscenza di come l’adolescente si mette in relazione con i suoi simili, relazione che non è fatta solo di corpi, ma di persone, con la loro intelligenza, capacità di autodeterminazione e di libertà, di re­sponsabilità, di emozioni, di affetti, di capacità di amare.
Non è in relazioni con corpi anatomici, ma con corpi vissuti e immaginati. Ciò richiede un percorso educativo, che forma l’adolescente alla relazione costruttiva e maturante con gli altri.
Il sapere intorno al propri corpo gli permette di capire che:
il corpo esprime ciò che egli è: lo rivela, lo rappresenta nelle va­rie forme in cui si esprime;
il corpo gli dà il senso di “avere”, di possedere in quanto “egli ha un corpo”, ma il suo è un avere limitato;
il suo corpo è un organo di comunicazione, in quando con esso si muove, si esprime, si mette in comunicazione: lo rappresenta, cioè, nel mondo, si muove nello spazio ed abita lo spazio;
il suo corpo è un organo operativo, con cui progetta e modifica la realtà. Il corpo è l’unica cosa che il suo Io muove liberamente e spontaneamente;
il suo corpo è un organo senziente: può percepire se stesso, per­cepire il corpo attraverso il proprio corpo;
il suo corpo gli impone dei limiti, per quello che è nella statura e nella grossezza, e per essere soggetto a malattie e debilità.
Il vissuto adolescenziale del corpo
L’adolescente ha un corpo organico, che cresce e matura nelle sue funzioni, quelle sessuali, che gli sono sconosciute nella loro re­altà concreta. Può conoscere a livello razionale le varie parti del corpo e le loro funzioni, ma a livello pratico gli sono sconosciute. La scoperta in fase puberale o successivamente dell’uso degli or­gani genitali con la masturbazione lo pone di fronte a situazioni interiori, di cui l’istruzione sessuale dà solo delle spiegazioni in­tellettuali, che non gli tolgono la confusione né lo tranquillizzano.
Così il corpo vissuto, quale presa di coscienza delle sensazioni, lo coinvolge in una realtà ambivalente, fatta di curiosità e di desi­deri, miste ad ansie e tensioni, per una situazione che tende a sfug­girgli di mano.
L’autocontrollo gli diviene difficile e l’immagine del suo corpo infantile, che poteva dominare e gestire e non gli creava problemi, si confonde con una immagine attuale frastagliata di un corpo che non riconosce più.
Contemporaneamente questa immagine sfocata di una identità destrutturata lo pone a confronto con l’immagine sociale, quella cioè che deve sostenere di fronte agli altri, che a loro volta possono rinviargli una immagine (un insieme di attese e di riscontri) pro­fondamente in conflitto con la realtà interiore che egli vive. Gli viene nel contempo richiesto capacità di autonomia e di indipen­denza, capacità di autogestione, responsabilità, dovere, obbedienza e ordine.
L’adulto, in questo modo, gli rinvia un’immagine che lo vuole “adulto” e “bambino”, mentre egli stesso si trova a vivere l’esigenza di essere adulto e come tale vuole essere trattato, e la difficoltà, di fronte a un corpo in evoluzione, di destrutturarsi e di distanziarsi dallo stadio infantile.
In modo più o meno intenso, che varia da soggetto a soggetto, il corpo vissuto è un misto di dualismo, per cui, attraverso fasi suc­cessive di assestamento, l’adolescente lotta per arrivare ad una rappresentazione sintetica di sé, al riconoscimento globale del pro­prio corpo come parte integrante dell’Io, in relazione armonica con gli altri e la realtà circostante.
E’ il percorso verso l’acquisizione della propria identità psico­sessuale, che dovrebbe aprirlo alla capacità di relazionarsi come persona matura.
L’essenza di tale ricognizione tattile è inquadrabile sul piano del passaggio di quello che viene chiamato il corpo vissuto sessual­mente, il “Leib” (corpo- che- sono) da quello che è invece il corpo anatomico, il corpo oggetto, il “Körper” cioè il “corpo-che-io-ho”. Se io do la mano ad un amico, questa è il “Leib”, è il corpo vissuto, è espressione di persona, è il “corpo- che –io – sono”. Nella psicoses­sualità, nel rapporto duale, il passaggio da “ corpo – che –io- sono” a “corpo-che-io-ho” e viceversa, è continuo; per lo più si assiste a un incontro che nella maggior parte dei casi non è un vero incontro interpersonale di “corpo-che-sono”, ma è un incontro all’insegna egoistica, dell’avere, del “corpo-che-io-ho” (es. l’incontro con una prostituta).
Quando l’adolescente comincia a prendere coscienza e consa­pevolezza di questa duplicità e ambiguità dell’esperienza di corpo, di corpo vissuto a corpo come oggetto (il succhiarsi il dito è tipico del corpo oggettualizzato) lì c’è la possibilità che si colga, da og­gettualizzarsi del proprio corpo, la fonte di un piacere: è quello che si dice il piacere a portata di mano, nel senso non solo metaforico della parola:

Allora si comprende come nel comportamento autoerotico ci sia sempre gravante la minaccia di un ritorno alla tendenza al corpo oggettualizzato, all’oggettualizzazione, che è in fondo la disumanizzazione del corpo.
Alla luce di tali analisi si rende necessaria una revisione di certe impostazioni psicologiche e psicopatologiche circa l’autoerotismo; e si rende necessaria anche una modificazione della valutazione morale.
Occorre anche prendere in considerazione la costante tendenza che c’è nella pubertà all’appagamento delle curiosità sessuali, so­prattutto quando si costituiscono piccoli raggruppamenti di adole­scenti. Questo va detto perché va tenuto conto, dal punto di vista ecologico, della possibilità dell’insorgenza dell’atto autoerotico come atto sociale riflesso. In altri termini, nell’adolescenza so­vente l’atto autoerotico prende quel connotato di solum ipse (vizio solitario) per acquisire invece delle dimensioni strettamente socio-psicologiche e culturali; diventa un fatto di gruppo, un’esigenza di gruppo, cui ci si deve adeguare.
Dimensioni sociopsicologiche dell’autoerotismo.
Accanto all’impostazione puramente biologica (disarmonia della maturazione sessuale dell’adolescente), accanto all’impostazione antropologica (la più importante: quella dei vari modi di vivere la propria corporeità e il proprio corpo) c’è anche quella dimensione importante, che è socio -psicologica: l’autoerotismo considerato come un atto sociale riflesso.
Da ciò ne deriva che occorre la collaborazione del medico, dello psichiatra, dell’educatore, del moralista, del sociologo.
Vediamo l’adulto. Nell’adulto l’autoerotismo è più direttamente collegabile a emergenze di situazioni specifiche di forzata asti­nenza sessuale. Legato a queste situazioni l’autoerotismo assume spesso un carattere di temporaneità: quindi spesso tale atto, il sem­plice atto autoerotico, veramente è carente di connotato psicopa­tologico.
Quello che lo rende psicologicamente normale, suscettibile di essere inquadrato in altri ambiti (quello della responsabilità, per esempio) è comunque sempre il grado di consapevolezza e di con­trollo che lo accompagna. Va chiamata in causa la volontà, termine vago, troppo ricco di incognite per poter essere definito psicologi­camente in modo univoco. Comunque, i meccanismi di controllo delle pulsioni istintuali possono funzionare poco, anche se la con­sapevolezza è estrema, è lucida.
Ci sono poi casi in cui vi è una dissociazione tra consapevo­lezza e controllo.
Nell’adolescenza questa consapevolezza consiste nel ricono­scimento e nell’accettazione della propria funzione genitale, non ancora attuabile nel rapporto duale. Nell’adolescente maturo i meccanismi di controllo possono consentire questo dominio, più o meno completo.
Nell’adulto carente di consapevolezza è diverso perché nella constatazione che si tratta di un atto sostitutivo e temporaneo c’è già una consapevolezza implicita. Nell’adulto è molto più legato ad una deficienza non tanto dei meccanismi di controllo, quanto del disinteresse reale di dimensioni etiche dell’atto.
Quando però l’atto autoerotico da isolato diventa ripetitivo, e da liberamente attuato diventa compulsivo, allora qui si deve di com­portamento masturbatorio. Questo può portare a poco a poco a quella che si chiama mania, a quella che una volta veniva chiamata mania autoerotica, la masturbomania, cioè a un comportamento compulsivo, di cui il soggetto non può fare a meno.

Vi è un altro ambito, quello delle debolezze mentali. Per il de­bole di mente l’autoerotismo è ancora più facile, appunto perché in lui diminuiscono o mancano i meccanismi di controllo superiore, l’armonia tra lucida consapevolezza ed efficienza dei meccanismi di controllo.
Quando arriviamo a gradi ancora più marcati di debolezza mentale, l’autoerotismo può essere reciproco, e quindi molto spesso nelle cosiddette masturbazioni vicendevoli sono reperibili ele­menti di tipo nevrastenico, di gioco, di passiva compiacenza verso individui magari aggressivi ed autoritari, che si servono appunto del sempliciotto come di un mezzo per soddisfare i loro bisogni, bisogni oltre che sessuali anche soprattutto sadici.
Il comporta­mento autoerotico si può definire compulsivo per la sua caratteristica di interazione obbligata; in mancanza di sintonicità e di accordo con l’Io, è quello in cui più frequentemente si imbattono gli educatori, i sacerdoti, gli psicologi.
L’autoerotismo negli scrupolosi.
Se nell’ambito dell’impostazione religiosa e della vita religiosa c’è un elemento caratteriologico facilitante, esso è quello della scrupolosità, è quello della psicastenicità in genere, che comporta a volte uno sviluppo in senso compulsivo. La scrupolosità è spesso la porta d’ingresso della compulsività, si avvicina proprio al comportamento dell’ossessività.
Come avviene per tutti gli impulsi e per tutte le rappresenta­zioni mentali degli ossessivi, anche il comportamento autoerotico è sentito come estraneo e rifiutato dal soggetto, che pure è costretto a praticarlo seppure in modo coatto. Il dramma dell’ossessivo è quello di ricusare qualche cosa, ma di essere costretto a farla e ac­cettarla ugualmente. Va detto che in questi casi la ricerca del pia­cere appare del tutto secondaria; c’è esclusivamente il tormento di peccare e di avere peccato. Quindi il dramma è tra quello che è in­tenzionale e quello che tale non è. Tuttavia lo scrupoloso intenzio­nalizza tutto; non esclude la possibilità che in quel momento po­teva aver aderito con la volontà, pur essendo ciò motivo e fonte di sofferenza.
In tutto questo va messo in luce un concetto molto importante: la strutturazione autoerotica, cioè il comportamento più l’impostazione psicologica che l’accompagna. Si vuol dire che non è l’atto autoerotico a determinare l’impostazione psicologica ab­norme: piuttosto è l’impostazione psicologica abnorme a concre­tizzarsi nell’atto. E’ importante circa gli equivoci che stanno alla base dell’omosessualità. Quello che interessa non è tanto il com­portamento masturbatorio, quanto l’analisi delle fantasie che ac­compagnano il comportamento masturbatorio. Vi può essere, ad es., un omosessuale latente, ben compensato, cioè non compie mai un atto omosessuale, ma delle fantasticherie omosessuali. Pratica­mente, la masturbazione in questo caso non serve ad altro se non allo sfogo, fondamentalmente però si tratta di omosessualità non di autoerotismo patologico. E si pone un problema metodologico molto importante, cioè: questa strutturazione psicologica è speci­fica dell’autoerotismo o deriva dalle diverse tendenze neurotiche o psicopatiche? E’ inquadrabile di volta in vota nelle varie tipologie neurotiche o psicopatiche? E’ un problema molto complesso di psicopatologia.

Deve essere preso in considerazione anche il caso dell’isteria, (anche se oggi non va di modo questa terminologia), perché questa sindrome è oltremodo frequente sia nell’uomo che nella donna, e perché nell’isteria i tratti caratteriologici sono pro­prio quelli che, tra l’altro, favoriscono anche la masturbazione.
Poiché l’isterico è poco capace di oblatività, è anche poco capace di stabilire un rapporto a due: la vita dell’isterico si volge tutta sulla categoria dell’avere e non sulla categoria dell’essere, cioè sull’inautentico.
Quindi la possibilità che la vita coniugale con l’altro non sia un mutuo darsi, ma sia un vicendevole “masturbarsi”, sia uno scambio di oggetti, è sempre presente nella personalità dell’isterico. Tali persone, gli isterici, presentano tratti di immaturità affettiva, che implicano veri e propri arresti dello sviluppo affettivo. Quindi si può dire che nel rapporto sessuale l’isterico è sempre incline alla soluzione di esso in un ambito realmente autoerotico (servirsi dell’altro è autoerotismo, non è autoerotismo soltanto il servirsi di sé; la mancanza di oblatività in fondo è autoerotismo).
Ovviamente nell’analisi si questi problemi quello che conta non è tanto il comportamento in se stesso, quanto lo studio delle fantasie che accompagnano il comportamento. E questo autoeroti­smo, inteso come soggiorno, nella sindrome omosessuale, è una cosa estremamente frequente ad osservarsi.
Nell’età scolare dell’adolescente si moltiplicano delle situa­zioni che portano all’autoerotismo, occorre cogliere proprio nell’ambiente le cause determinanti del fenomeno:
le nascita di un fratellino,
la carenza di attenzione da parte dei genitori,
il tempo che si trascorre da soli,
il bisogno inappagato di compagni di gioco, ecc. ecc.
la scuola stessa costituisce una problematica completamente nuova irta di difficoltà: le competizioni, le integrazioni di gruppo, il trasferimento sugli insegnanti delle immagini pa­rentali, difficoltà nello studio, il rendimento scolastico, ecc.
Questi ed altri sono fattori che facilitano l’autoerotismo.
TRATTO DA http://gilbertogobbi1.wordpress.com/2011/02/14/192/

L'Autoerotismo. L'alba del piacere sessuale: dall'identità verso la relazione.

Autori: Edoardo Giusti - Gabriella Di Francesco

Anno: 2006
Editore: Sovera  Editore. Collana Psicoterapia e Counseling
Pagine: 207
Prezzo: € 21,00
ISBN: 88-8124-615-5




Autoerotismo: primo albore di desiderio e sessualità, scoperta delle pulsioni e conferma d’indipendenza funzionale.
La percezione di gioia e piacere arricchita dall’immaginario avvalora il senso d’identità sessuale di base e supporta un sano sviluppo evolutivo.
Questa forma di conoscenza di sé facilita un progressivo avvicinamento alla relazione d’interdipendenza e d’intimità sessuale.

Recensione
A cura di Katia Carlini

Decisamente un libro da leggere da soli, nella posizione e nel modo più personale possibile. Un libro sull’autoerotismo, pratica diffusa da sempre ma spesso ostacolata o vietata da motivazioni di tipo religioso o morale, sembra stimolare entusiasmo. Così, dopo secoli di oscurantismo e colpevolizzazione del sesso nella sua forma più naturale, intima e necessaria, “il vizio solitario” sembra essere riconosciuto come sana abitudine per entrare in contatto con se stessi, per autoesplorarsi e per conoscere le proprie sensazioni erotiche. Altro che letargia, acne, alitosi, tremori, deperimento, noia, tristezza, stanchezza, agitazione, insonnia, tosse, vomito, pallore, prurito e cecità. L’autoerotismo, di Edoardo Giusti e Gabriella di Francesco, mostra una serie di studi che sembrano avvalorare il significato e la prerogativa di una sana masturbazione per la strutturazione di una sessualità funzionale al piacere. L’esperienza autoerotica, non più demonizzata come attività autistica, viene valorizzata come momento creativo e propedeutico all’incontro dell’altro. Dietro l’atto masturbatorio sono sempre presenti fantasie, scenari e immagini, con i quali l’uomo e la donna possono sviluppare pensieri, aspettative e desideri sessuali. Allora non più atto irriverente che genera colpe e conflitti, ma momento auspicabile per un sano sviluppo sessuale e per la crescita dell’autostima come un ulteriore modo di prendersi cura del proprio sé e di alleviare tensioni. Insomma, un libro per certi versi toccante, che mi auguro ognuno possa leggere nella sua intimità per poi condividerlo con altri.

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TRATTO DA http://www.aspicpsicologia.org/zone/pagina_2.asp?ID=6&ID_pagina=178&tipologia=16