Gilberto Gobbi
Premessa
L’autoerotismo, o masturbazione, sembra trovarsi al centro della storia della maturazione psicosessuale della stragrande maggioranza degli individui, specialmente maschi. E’ una maturazione che inizia fin dalla primissima infanzia, quando il bambino comincia a esplorare le varie parti del proprio corpo.
L’autoerotismo ne è un comportamento esteriore, che, in quanto tale, rinvia ad un profondo significato, proprio dello psichismo, cioè alle pieghe più delicate e recondite dell’intrinseca connessione tra la dimensione fisico-corporea e quella psicologica.
Il comportamento autoerotico assume significato e come tale va analizzato, partendo da tale contesto, per poterne comprendere le sue evoluzioni normali, quelle a-normali oppure le involuzioni patologiche.
Sotto l’aspetto psicologico, oggi, l’autoerotismo viene considerato un fenomeno frequente e quasi costante nel processo evolutivo psicosessuale dell’individuo. Gli studi in tale settore sono molteplici e offrono dei dati, statistici e psicodinamici, che presentano, appunto, la masturbazione come un fenomeno talmente rilevante, per la sua presenza e costanza, da far affermare la sua “normalità”. Cioè, il fenomeno è presente per il 90% e oltre nei giovani e tra il 60-70% nelle giovani e nelle donne.
A quanto pare, come in altre ricerche che riguardano l’ambito dei comportamenti sessuali, anche per l’autoerotismo in psicologia il parametro statistico viene assunto come “criterio di normalità”.
Ritengo che non sia sufficiente indicare l’autoerotismo come una fase dello sviluppo psicosessuale né constatarne la frequenza statistica, per dedurne una valutazione di “normalità”.
La sua valutazione va impostata secondo criteri diversi, che situino il fenomeno all’interno del senso e del significato della sessualità umana e che, sotto l’aspetto dinamico, tengano conto del percorso maturativo delle singole persone, del loro stadio complessivo di sviluppo, di cui l’ambito psicosessuale è parte integrante.
Atto, comportamento e struttura autoerotica
Il soggetto che pratica la masturbazione si trova in un determinato punto del suo sviluppo globale e psicosessuale; è collocato in un determinato ambito psicosociale; vive determinate situazioni ed ha una concezione circa il senso e il significato della sessualità e dell’autoerotismo.
Occorre, pertanto, avere una valutazione complessiva e complessa del soggetto e della sua collocazione nel contesto situazionale, in cui il fenomeno viene praticato.
Per una maggiore chiarezza e per una comprensione più reale, ritengo che vadano fatte delle distinzioni circa tre modalità dell’autoerotismo.
Atto autoerotico – E’ un singolo atto che porta al soddisfacimento sessuale masturbatorio. Accade come modalità o di ricerca di conoscenza del fenomeno o di sgravamento di tensione, e permane fine a se stesso. Il soggetto ha sperimentato, ha scaricato, e ciò gli basta. Per motivazioni, le più disparate, non sente l’esigenza di ripetere o ha la capacità di autocontrollo.
Comportamento autoerotico – Il comportamento indica che il soggetto tende a ripetersi, anche se non in modo continuativo, in atti masturbatori. Vi è una certa compulsività, che può essere accompagnata da attività sessuali diverse (sia etero sia omosessuali). Il comportamento indica che di fronte a situazioni ansiose, conflittuali, a forti impulsi genitali, al desiderio di soddisfazione, vi è la tendenza a scaricare compulsivamente, in modo sostitutivo in carenza del rapporto etero o omosessuale. L’autogratificazione lo porta a chiudersi in se stesso e nelle proprie fantasie.
Struttura di personalità autoerotica. Con tale denominazione si intende quella personalità che è rimasta allo stadio narcisistico della maturazione, all’autocontemplazione, chiuso in se stesso, in una dimensione autoerotica ed autoaffettiva. Per tale personalità non si può parlare di oblatività, di donazione, di apertura all’altro, per cui anche quando esplica una relazione etero o omosessuale, il centro è sempre lei. L’altro è strumentalizzato, funzionale alla ricerca della propria gratificazione genitale autoerotica.
Tale distinzione, che deriva dalle analisi delle situazioni, ci permette di capire meglio il fenomeno dell’autoerotismo, inquadrandolo all’interno della personalità e del suo processo di maturazione, dandone una valutazione psicologica conseguente. L’atto masturbatorio, di per sé, non va ad intaccare il processo di maturazione psicosessuale verso l’apertura all’altro, alla comunicazione e alla capacità di donazione. Sotto l’aspetto psicologico, atti masturbatori sporadici sono privi di connotazione morbosa o patologica. Andranno analizzati i vissuti e le circostanze che tendono a tali atti sporadici, affinché l’individuo ne conosca l’origine e metta in atto quella serie di accorgimenti che gli facilitino il superamento e l’evitare che diventino comportamento masturbatorio.
Vi sono, invece, persone che, pur avendo un’impostazione di apertura all’altro, vivono comportamenti “quasi obbligati” di tipo masturbatorio. La tensione pulsionale li spinge ad una coazione a ripetere.
Ciò permette di rendersi conto di come il problema dell’autoerotismo è complesso e che in determinate persone l’ambito della libertà di scelta del proprio comportamento sia notevolmente ridotto, sia dalla coazione a ripetere sia da una struttura di personalità autoerotica.
Non è compito della psicologia emettere una valutazione etica, ma di congruenza o incongruenza con il percorso di maturazione della persona.
Autoerotismo infantile
L’autoerotismo infantile segue i processi e le modalità propri dell’età descritti dalla psicoanalisi attraverso le varie fasi di approfondimento e di ulteriori conoscenze.
L’esplorazione e la conoscenza del proprio corpo, l’erotizzazione del proprio e dell’altrui corpo, il legame simbiotico con la madre, il distanziamento e defusione, l’acquisizione della propria immagine corporea e la differenziazione da quella degli altri, la percezione della propria identità di genere e l’avvio verso l’acquisizione dell’identità psicosessuale, sono tutti fattori che intervengono e interferiscono nel processo di maturazione psicosessuale e quindi anche nelle dinamiche autoerotiche.
Il bambino attraversa le varie fasi e vive l’incidenza dei vari fattori, come percorre il tratto dall’egocentrismo all’allocentrismo, dalla chiusura narcisistica iniziale all’apertura verso l’altro, dall’erotizzazione delle relazioni al processo di derotizzazione, che è un fenomeno che dovrebbe accompagnarlo per tutta la vita, come uscita da sé e trascendenza verso l’altro, verso una dimensione di donazione.
Di fronte all’autoerotismo infantile spetta all’adulto non proiettare i suoi eventuali problemi irrisolti, con minacce e rimproveri che vanno a confonderlo e a suscitare curiosità, morbosità ed ansia.
Durante la prima e la seconda infanzia, l’autoerotismo perdurante può essere indice di problematiche che il bambino sta vivendo; l’atto diventa consolatorio di fronte a solitudine, carenze affettive, o anche indice di movimenti stereotipati, che possono essere indicatori di una sofferenza profonda, che, di norma, è accompagnata anche da altri aspetti del comportamento.
In questi casi di comportamenti masturbatori stereotipati è necessario consultare un esperto per una verifica e vedere se occorra intervenire con una terapia che sollevi il bambino dalla sofferenza, riavviando il processo psicoaffettivo che si era arrestato o che trovava difficoltà a procedere.
Autoerotismo adolescenziale
La pubertà è il periodo in cui si verificano più frequentemente atti masturbatori, che, con il tempo, possono trasformarsi in comportamenti o anche fissare una personalità autoerotica.
L’attività autoerotica si verifica entro un quadro caratterizzato da importanti modificazioni biologiche, che incidono profondamente sulla globalità della persona e sulla strutturazione psicosessuale. La disarmonia della prima fase puberale è dominata dall’eccitazione pulsionale, da abulie, apatie, eccitazioni, diminuzione della soglia di sorveglianza, da euforia con particolare labilità neurovegetativa.
Il fenomeno dell’autoerotismo va inserito nell’ambito dell’insicurezza biologica e istintuale, che comporta l’assestamento del suo orientamento psicosessuale, per cui il ragazzo è impegnato su due fronti:
quello individuale, intrapsichico, sulla linea della convergenza o meno dell’identità di genere (l’avere un corpo maschile o femminile) con quella psicosessuale (il sentirsi uomo o il sentirsi donna);
quello fisico-corporeo, che lo spinge alla ricognizione della propria virilità, come ricerca della propria individuazione e virilità somatica, che si coniuga con la tendenza alla manipolazione. Le ricerche di neurofisiologia confermano questa tendenza istintiva che l’adolescente ha di manipolare ciò che gli capita tra le mani. La prima cosa che egli ha tra le mani è il proprio corpo, con tutte le sue parti.
L’autoerotismo femminile è diverso da quello maschile.
Il corpo fisico e il corpo vissuto
E’ durante l’adolescenza, nelle sue varie fasi, che la persona vive e sperimenta il rapporto dialettico tra il suo corpo fisico, anatomico, il corpo oggetto, il “corpo-che-ha” e il corpo vissuto, il “corpo-che-egli-è”, il corpo vissuto sessualmente.
Si può affermare che l’adolescente vive in prima persona il dilemma secolare della filosofia, anima-corpo, il dualismo, cioè, che è stato oggetto della speculazione della filosofia occidentale e che da sempre influenza la medicina e le scienze umane.
L’adolescente ripropone in sé la problematicità di tale riflessione e la vive con un’intensità che è propria di tale dicotomia. La sua lotta è orientata al superamento di essa, a fare unità tra psiche e soma: l’esito di tale travaglio può essere il più disparato: o l’unificazione della propria persona in un processo di maturazione o la conflittualità visibile o sotterranea, ma presente, con il proprio corpo che lo accompagnerà in futuro.
L’adolescente percepisce il proprio corpo organico, il Koerper, inteso come oggetto, un insieme di organi e di apparati anatomici che sente trasformarsi: ha un corpo, possiede un corpo.
Contemporaneamente vive la propria corporeità, sente di essere corpo, soggetto dell’Io, come presa di coscienza delle sensazioni. E’ il corpo-che è. E’ il corpo vissuto.
Il corpo organico e il corpo vissuto si confrontano a livello profondo con l’immagine inconscia del corpo, cioè con il corpo immaginato, che è la rappresentazione sintetica delle relazioni e riconoscimento globale o parziale del corpo nel rapporto con se stesso, con gli altri e con la realtà.
E’ a livello profondo che deve avvenire la sintesi della dimensione fisica con quella psichica, l’unificazione della personalità. Avviene l’accettazione o la non accettazione del proprio corpo, il cui cambiamento accompagna tutta la vita, attraverso le trasformazioni che il tempo impone internamente nella modifica dell’immagine di sé ed esternamente nei cambiamenti delle fattezze del corpo fisico.
Quando l’adolescente comincia a prendere coscienza di questa ambivalenza del proprio corpo (corpo vissuto e corpo oggetto) c’è la possibilità che si percepisca come corpo fonte di piacere, e quindi di oggettualizzare il corpo, come fonte di piacere a portata di mano.
Tale disgiunzione è visibile nel comportamento autoerotico e nella pratica della prostituzione, e in ogni forma di strumentalizzazione del corpo come forme plastiche di oggettualizzazione del proprio e dell’altrui corpo.
Il sapere sul proprio corpo
Il sapere sul proprio corpo, sulle sue espressività e le sue capacità di entrare in relazione con la realtà in cui è inserito, facilita la conoscenza di come l’adolescente si mette in relazione con i suoi simili, relazione che non è fatta solo di corpi, ma di persone, con la loro intelligenza, capacità di autodeterminazione e di libertà, di responsabilità, di emozioni, di affetti, di capacità di amare.
Non è in relazioni con corpi anatomici, ma con corpi vissuti e immaginati. Ciò richiede un percorso educativo, che forma l’adolescente alla relazione costruttiva e maturante con gli altri.
Il sapere intorno al propri corpo gli permette di capire che:
il corpo esprime ciò che egli è: lo rivela, lo rappresenta nelle varie forme in cui si esprime;
il corpo gli dà il senso di “avere”, di possedere in quanto “egli ha un corpo”, ma il suo è un avere limitato;
il suo corpo è un organo di comunicazione, in quando con esso si muove, si esprime, si mette in comunicazione: lo rappresenta, cioè, nel mondo, si muove nello spazio ed abita lo spazio;
il suo corpo è un organo operativo, con cui progetta e modifica la realtà. Il corpo è l’unica cosa che il suo Io muove liberamente e spontaneamente;
il suo corpo è un organo senziente: può percepire se stesso, percepire il corpo attraverso il proprio corpo;
il suo corpo gli impone dei limiti, per quello che è nella statura e nella grossezza, e per essere soggetto a malattie e debilità.
Il vissuto adolescenziale del corpo
L’adolescente ha un corpo organico, che cresce e matura nelle sue funzioni, quelle sessuali, che gli sono sconosciute nella loro realtà concreta. Può conoscere a livello razionale le varie parti del corpo e le loro funzioni, ma a livello pratico gli sono sconosciute. La scoperta in fase puberale o successivamente dell’uso degli organi genitali con la masturbazione lo pone di fronte a situazioni interiori, di cui l’istruzione sessuale dà solo delle spiegazioni intellettuali, che non gli tolgono la confusione né lo tranquillizzano.
Così il corpo vissuto, quale presa di coscienza delle sensazioni, lo coinvolge in una realtà ambivalente, fatta di curiosità e di desideri, miste ad ansie e tensioni, per una situazione che tende a sfuggirgli di mano.
L’autocontrollo gli diviene difficile e l’immagine del suo corpo infantile, che poteva dominare e gestire e non gli creava problemi, si confonde con una immagine attuale frastagliata di un corpo che non riconosce più.
Contemporaneamente questa immagine sfocata di una identità destrutturata lo pone a confronto con l’immagine sociale, quella cioè che deve sostenere di fronte agli altri, che a loro volta possono rinviargli una immagine (un insieme di attese e di riscontri) profondamente in conflitto con la realtà interiore che egli vive. Gli viene nel contempo richiesto capacità di autonomia e di indipendenza, capacità di autogestione, responsabilità, dovere, obbedienza e ordine.
L’adulto, in questo modo, gli rinvia un’immagine che lo vuole “adulto” e “bambino”, mentre egli stesso si trova a vivere l’esigenza di essere adulto e come tale vuole essere trattato, e la difficoltà, di fronte a un corpo in evoluzione, di destrutturarsi e di distanziarsi dallo stadio infantile.
In modo più o meno intenso, che varia da soggetto a soggetto, il corpo vissuto è un misto di dualismo, per cui, attraverso fasi successive di assestamento, l’adolescente lotta per arrivare ad una rappresentazione sintetica di sé, al riconoscimento globale del proprio corpo come parte integrante dell’Io, in relazione armonica con gli altri e la realtà circostante.
E’ il percorso verso l’acquisizione della propria identità psicosessuale, che dovrebbe aprirlo alla capacità di relazionarsi come persona matura.
L’essenza di tale ricognizione tattile è inquadrabile sul piano del passaggio di quello che viene chiamato il corpo vissuto sessualmente, il “Leib” (corpo- che- sono) da quello che è invece il corpo anatomico, il corpo oggetto, il “Körper” cioè il “corpo-che-io-ho”. Se io do la mano ad un amico, questa è il “Leib”, è il corpo vissuto, è espressione di persona, è il “corpo- che –io – sono”. Nella psicosessualità, nel rapporto duale, il passaggio da “ corpo – che –io- sono” a “corpo-che-io-ho” e viceversa, è continuo; per lo più si assiste a un incontro che nella maggior parte dei casi non è un vero incontro interpersonale di “corpo-che-sono”, ma è un incontro all’insegna egoistica, dell’avere, del “corpo-che-io-ho” (es. l’incontro con una prostituta).
Quando l’adolescente comincia a prendere coscienza e consapevolezza di questa duplicità e ambiguità dell’esperienza di corpo, di corpo vissuto a corpo come oggetto (il succhiarsi il dito è tipico del corpo oggettualizzato) lì c’è la possibilità che si colga, da oggettualizzarsi del proprio corpo, la fonte di un piacere: è quello che si dice il piacere a portata di mano, nel senso non solo metaforico della parola:
Allora si comprende come nel comportamento autoerotico ci sia sempre gravante la minaccia di un ritorno alla tendenza al corpo oggettualizzato, all’oggettualizzazione, che è in fondo la disumanizzazione del corpo.
Alla luce di tali analisi si rende necessaria una revisione di certe impostazioni psicologiche e psicopatologiche circa l’autoerotismo; e si rende necessaria anche una modificazione della valutazione morale.
Occorre anche prendere in considerazione la costante tendenza che c’è nella pubertà all’appagamento delle curiosità sessuali, soprattutto quando si costituiscono piccoli raggruppamenti di adolescenti. Questo va detto perché va tenuto conto, dal punto di vista ecologico, della possibilità dell’insorgenza dell’atto autoerotico come atto sociale riflesso. In altri termini, nell’adolescenza sovente l’atto autoerotico prende quel connotato di solum ipse (vizio solitario) per acquisire invece delle dimensioni strettamente socio-psicologiche e culturali; diventa un fatto di gruppo, un’esigenza di gruppo, cui ci si deve adeguare.
Dimensioni sociopsicologiche dell’autoerotismo.
Accanto all’impostazione puramente biologica (disarmonia della maturazione sessuale dell’adolescente), accanto all’impostazione antropologica (la più importante: quella dei vari modi di vivere la propria corporeità e il proprio corpo) c’è anche quella dimensione importante, che è socio -psicologica: l’autoerotismo considerato come un atto sociale riflesso.
Da ciò ne deriva che occorre la collaborazione del medico, dello psichiatra, dell’educatore, del moralista, del sociologo.
Vediamo l’adulto. Nell’adulto l’autoerotismo è più direttamente collegabile a emergenze di situazioni specifiche di forzata astinenza sessuale. Legato a queste situazioni l’autoerotismo assume spesso un carattere di temporaneità: quindi spesso tale atto, il semplice atto autoerotico, veramente è carente di connotato psicopatologico.
Quello che lo rende psicologicamente normale, suscettibile di essere inquadrato in altri ambiti (quello della responsabilità, per esempio) è comunque sempre il grado di consapevolezza e di controllo che lo accompagna. Va chiamata in causa la volontà, termine vago, troppo ricco di incognite per poter essere definito psicologicamente in modo univoco. Comunque, i meccanismi di controllo delle pulsioni istintuali possono funzionare poco, anche se la consapevolezza è estrema, è lucida.
Ci sono poi casi in cui vi è una dissociazione tra consapevolezza e controllo.
Nell’adolescenza questa consapevolezza consiste nel riconoscimento e nell’accettazione della propria funzione genitale, non ancora attuabile nel rapporto duale. Nell’adolescente maturo i meccanismi di controllo possono consentire questo dominio, più o meno completo.
Nell’adulto carente di consapevolezza è diverso perché nella constatazione che si tratta di un atto sostitutivo e temporaneo c’è già una consapevolezza implicita. Nell’adulto è molto più legato ad una deficienza non tanto dei meccanismi di controllo, quanto del disinteresse reale di dimensioni etiche dell’atto.
Quando però l’atto autoerotico da isolato diventa ripetitivo, e da liberamente attuato diventa compulsivo, allora qui si deve di comportamento masturbatorio. Questo può portare a poco a poco a quella che si chiama mania, a quella che una volta veniva chiamata mania autoerotica, la masturbomania, cioè a un comportamento compulsivo, di cui il soggetto non può fare a meno.
Vi è un altro ambito, quello delle debolezze mentali. Per il debole di mente l’autoerotismo è ancora più facile, appunto perché in lui diminuiscono o mancano i meccanismi di controllo superiore, l’armonia tra lucida consapevolezza ed efficienza dei meccanismi di controllo.
Quando arriviamo a gradi ancora più marcati di debolezza mentale, l’autoerotismo può essere reciproco, e quindi molto spesso nelle cosiddette masturbazioni vicendevoli sono reperibili elementi di tipo nevrastenico, di gioco, di passiva compiacenza verso individui magari aggressivi ed autoritari, che si servono appunto del sempliciotto come di un mezzo per soddisfare i loro bisogni, bisogni oltre che sessuali anche soprattutto sadici.
Il comportamento autoerotico si può definire compulsivo per la sua caratteristica di interazione obbligata; in mancanza di sintonicità e di accordo con l’Io, è quello in cui più frequentemente si imbattono gli educatori, i sacerdoti, gli psicologi.
L’autoerotismo negli scrupolosi.
Se nell’ambito dell’impostazione religiosa e della vita religiosa c’è un elemento caratteriologico facilitante, esso è quello della scrupolosità, è quello della psicastenicità in genere, che comporta a volte uno sviluppo in senso compulsivo. La scrupolosità è spesso la porta d’ingresso della compulsività, si avvicina proprio al comportamento dell’ossessività.
Come avviene per tutti gli impulsi e per tutte le rappresentazioni mentali degli ossessivi, anche il comportamento autoerotico è sentito come estraneo e rifiutato dal soggetto, che pure è costretto a praticarlo seppure in modo coatto. Il dramma dell’ossessivo è quello di ricusare qualche cosa, ma di essere costretto a farla e accettarla ugualmente. Va detto che in questi casi la ricerca del piacere appare del tutto secondaria; c’è esclusivamente il tormento di peccare e di avere peccato. Quindi il dramma è tra quello che è intenzionale e quello che tale non è. Tuttavia lo scrupoloso intenzionalizza tutto; non esclude la possibilità che in quel momento poteva aver aderito con la volontà, pur essendo ciò motivo e fonte di sofferenza.
In tutto questo va messo in luce un concetto molto importante: la strutturazione autoerotica, cioè il comportamento più l’impostazione psicologica che l’accompagna. Si vuol dire che non è l’atto autoerotico a determinare l’impostazione psicologica abnorme: piuttosto è l’impostazione psicologica abnorme a concretizzarsi nell’atto. E’ importante circa gli equivoci che stanno alla base dell’omosessualità. Quello che interessa non è tanto il comportamento masturbatorio, quanto l’analisi delle fantasie che accompagnano il comportamento masturbatorio. Vi può essere, ad es., un omosessuale latente, ben compensato, cioè non compie mai un atto omosessuale, ma delle fantasticherie omosessuali. Praticamente, la masturbazione in questo caso non serve ad altro se non allo sfogo, fondamentalmente però si tratta di omosessualità non di autoerotismo patologico. E si pone un problema metodologico molto importante, cioè: questa strutturazione psicologica è specifica dell’autoerotismo o deriva dalle diverse tendenze neurotiche o psicopatiche? E’ inquadrabile di volta in vota nelle varie tipologie neurotiche o psicopatiche? E’ un problema molto complesso di psicopatologia.
Deve essere preso in considerazione anche il caso dell’isteria, (anche se oggi non va di modo questa terminologia), perché questa sindrome è oltremodo frequente sia nell’uomo che nella donna, e perché nell’isteria i tratti caratteriologici sono proprio quelli che, tra l’altro, favoriscono anche la masturbazione.
Poiché l’isterico è poco capace di oblatività, è anche poco capace di stabilire un rapporto a due: la vita dell’isterico si volge tutta sulla categoria dell’avere e non sulla categoria dell’essere, cioè sull’inautentico.
Quindi la possibilità che la vita coniugale con l’altro non sia un mutuo darsi, ma sia un vicendevole “masturbarsi”, sia uno scambio di oggetti, è sempre presente nella personalità dell’isterico. Tali persone, gli isterici, presentano tratti di immaturità affettiva, che implicano veri e propri arresti dello sviluppo affettivo. Quindi si può dire che nel rapporto sessuale l’isterico è sempre incline alla soluzione di esso in un ambito realmente autoerotico (servirsi dell’altro è autoerotismo, non è autoerotismo soltanto il servirsi di sé; la mancanza di oblatività in fondo è autoerotismo).
Ovviamente nell’analisi si questi problemi quello che conta non è tanto il comportamento in se stesso, quanto lo studio delle fantasie che accompagnano il comportamento. E questo autoerotismo, inteso come soggiorno, nella sindrome omosessuale, è una cosa estremamente frequente ad osservarsi.
Nell’età scolare dell’adolescente si moltiplicano delle situazioni che portano all’autoerotismo, occorre cogliere proprio nell’ambiente le cause determinanti del fenomeno:
le nascita di un fratellino,
la carenza di attenzione da parte dei genitori,
il tempo che si trascorre da soli,
il bisogno inappagato di compagni di gioco, ecc. ecc.
la scuola stessa costituisce una problematica completamente nuova irta di difficoltà: le competizioni, le integrazioni di gruppo, il trasferimento sugli insegnanti delle immagini parentali, difficoltà nello studio, il rendimento scolastico, ecc.
Questi ed altri sono fattori che facilitano l’autoerotismo.
TRATTO DA
http://gilbertogobbi1.wordpress.com/2011/02/14/192/